Istituto Svizzero invites Fellows and Senior Fellows to connect with the public during their time in Rome, Milan, or Palermo, offering a unique glimpse into the evolution of their practice and research. Through a series of questions, the public gain insights into the Fellows’ ideas, projects, and works.
Aramis Navarro (1991) is an artist based between St. Gallen and Zurich. Through the analysis of broader linguistic models, he observes the evolution of belief systems in contemporary society. His work has been exhibited in institutions such as the Kunstmuseum St. Gallen, Kunst(Zeug)Haus, Kunsthaus Zofingen, Kutlesa Gallery, Paul Hafner Galerie, and Künstler und Projekthaus Torstrasse in Berlin, and more recently with a solo exhibition at ALTEFABRIK in Rapperswil. In Palermo, he will create a series of audio installations based on the relationship between occult spells and messages used in artificial intelligence technology.
What is the main project you will be working on during your residency?
So far, the main focus has been reading—lots of reading! I’m jumping from book to book, finishing one chapter and diving into another one from a different book. The books cover the two fields I’m currently exploring: spells and prompts. Some delve into magic, both in theory and practice, while others focus on AI, specifically large language models and computational language. Between these reading sessions, I take notes or make sketches.

Studyroom at Palazzo Butera
How does the environment of Istituto Svizzero influence your research?
The freedom and mental space provided here are incredibly conducive to generating fresh ideas.
What is the strangest object you keep in your workspace?
I’d say it’s a typewriter I bought at a flea market right after I arrived. Besides the books, it’s actually the only thing in my workspace. I use it to archive my notes in analog form.

Typewriter drawing
How do you believe the transdisciplinary approach enriches your research?
Juxtaposing or merging these two fields creates fertile ground for new ideas, allowing me to plant concepts and observe them as they grow.
What influences your work?
In some way or another, everything influences my work.

Aramis visiting the remains of the Abbey of Thelema (Aleister Crowley). photo: Jan Lindauer
Do you have any rituals or routines during work?
Maybe the “jumps” I mentioned before…
What music are you currently listening to?
In this very moment I’m listening to Peace of Mind by Claro Intelecto
Do you have a favorite spot in the city?
From my window, I can see a wild garden surrounded by corrugated iron, seemingly reserved for a future architectural project. For now, it’s a hidden gem for cats, and we often hear them fighting day and night. The place is big enough to host quite a few—it’s almost metaphorical, paradise and battleground at the same time.

Cats Paradise & Battleground
What’s the most unexpected thing that has happened to you during your residency?
I truly didn’t expect to be “blessed” by a pigeon.

Analog Photography, Pigeon at Segreti del Chiostro courtyard
The future for you is…?
The future is techgnostic.
Elisa Pezza (1998) vive e lavora tra Torino e Zurigo. La sua ricerca si concentra sull’affermazione della pratica curatoriale come pratica artistica. Ha ottenuto una laurea in Arte Contemporanea presso la Libera Università di Bolzano e un master in Studi Curatoriali presso lo ZHdK di Zurigo. A Palermo proseguirà la sua ricerca, collaborando con la Fondazione Sicilia, per realizzare una mappatura della Sicilia incentrata sulle montagne e sulla loro civiltà, compresi riti e cerimonie.
Qual è il progetto a cui lavorerai durante la residenza?
Durante la mia residenza a Palazzo Branciforte, in collaborazione con l’Istituto Svizzero e Fondazione Sicilia, sto conducendo una ricerca sugli spazi di narrazione del paesaggio montano siciliano, con l’obiettivo di esplorare diverse modalità e prospettive di vivere e abitare la montagna. Attualmente mi sto concentrando sul lavoro del Folkstudio, un archivio dedicato alle tradizioni popolari siciliane, che negli anni ’70 e ’80 ha realizzato una mappatura sonora della Sicilia. Attraverso numerosi field recordings di canti popolari, il Folkstudio ha messo in luce la funzione sociale, politica e culturale del recupero della tradizione.

Photo: Elisa Pezza
In che modo l’ambiente dell’Istituto Svizzero influenza la tua ricerca?
Essere immersa in un ambiente di ricerca così diversificato e internazionale mi consente di confrontarmi con studiose/i e artisti/e provenienti da discipline e ambiti differenti, generando un dialogo continuo e transdisciplinare che arricchisce le mie riflessioni. Il patrimonio culturale di Palazzo Branciforte con i suoi documenti e immagini mi ha permesso di approfondire direttamente dall’interno le tematiche della mia ricerca. La residenza di Palermo Calling è per me uno spazio fertile, dove il tempo rallenta e lascia spazio alla sperimentazione di nuove idee e metodi di ricerca, integrando prospettive diverse.

view of Elisa’s working space inside the library of Palazzo Branciforte). Photo: Elisa Pezza
In che modo l’approccio transdisciplinare arricchisce la tua ricerca?
I confini di alcune professioni, come quella della curatrice e dell’artista, sono sempre più sfumati e permeabili, permettendo così un passaggio fluido tra diverse funzioni e ruoli. L’approccio transdisciplinare mi consente di ripensare questi limiti, esplorando una costellazione di pratiche sempre più interconnesse. Questa apertura facilita un dialogo continuo con gli/le altri/e fellows, promuovendo modalità di lavoro collettive e collaborative, arricchendo così la mia ricerca con prospettive e saperi diversi.
Cosa influenza il tuo lavoro?
L’ascolto e il confronto. Molto spesso trovo ispirazione attraverso le conversazioni con le persone che mi circondano o che scelgo di intervistare. Sono proprio loro uno degli archivi più importanti che desidero consultare durante le mie ricerche perché portano con sé conoscenze vissute, dei veri e propri archivi viventi di un “immaterial work”, un continuum che permette di sperimentare come spazio e tempo sono stati occupati dai corpi che li hanno abitati, modificandone la percezione.

inside view of Elsa Guggino’s book “I canti e la magia” (Sellerio Editore, 2004). Photo: Elisa Pezza
Hai qualche rituale/routine durante il lavoro?
Da circa una settimana, ho iniziato a fare delle pause dalla ricerca di circa un’ora. Guardo la cartina della mappa di Palermo e scelgo una strada, una direzione, da percorrere per 25 minuti e poi torno indietro. In questo modo distaccandomi dal centro ho scoperto nuovi posti speciali di Palermo, come il bar di borgo vecchio “Lo dico Giacomo” e un parcheggio pienissimo di graffiti, la maggior parte per gli ultras del Palermo, e nel frattempo schiarisco la mente e lascio spazio a nuove idee e intuizioni.

view of Elisa’s working space in the restaurant of Palazzo Branciforte. Photo: Elisa Pezza
Che musica ascolti attualmente?
Radio di Heaven is a Place on Earth
Hai un posto preferito in città?
A Palermo c’è un posto molto speciale, nonostante la grande affluenza di turisti durante il fine settimana. Questo luogo è il chiostro di Santa Caterina. Si tratta di un ex monastero preposto alla realizzazione di biscotti, frittelle, conserve venduti come unica fonte di reddito che permetteva la sopravvivenza del monastero. Oggi, dal 2017, è una pasticceria che vende i cannoli più buoni di Palermo. Se si arriva la mattina presto durante i giorni feriali si trova l’elegante chiostro quasi deserto che diventa il posto ideale per leggere un libro e godersi una dolce pausa.
Qual è la cosa più inaspettata che ti è capitata durante la residenza?
Probabilmente la cosa più inaspettata è stata scoprire che non posso mangiare un cannolo al giorno, perchè il mio stomaco non regge il ritmo.
Il futuro per te è…
Domani.
Thomas Maissen (1962) è diventato professore ordinario di storia moderna presso l’Università di Heidelberg nel 2004. È stato il fondatore e primo direttore (2007–2012) della Heidelberg Graduate School for the Humanities and Social Sciences (HGGS). Nel 2008, ha istituito un programma di master congiunto in storia con l’EHESS di Parigi e lo ha diretto fino al 2013. Dal 2008 in poi, ha fatto parte dei comitati direttivi del Heidelberg Cluster of Excellence ‘Asia and Europe’ e infine come uno dei tre co-direttori del Cluster. Dal 2013, Thomas Maissen è in congedo e dirige Il German Historical Institute Paris, dove ha istituito un focus di ricerca su e in Africa.
I principali temi di ricerca di Thomas Maissen sono la storia delle idee politiche e la loro rappresentazione visiva, la storiografia, la religione e la mentalities. Dal 2006, è membro dell’Heidelberg Academy of Sciences and Humanities. È stato fellow dell’EHESS di Parigi (2009), dell’IAS di Princeton (2010), del Basel Research College ‘Legitimacy and Religion’ (2009–2011), del Marsilius-Kolleg Heidelberg (2012/13) e, nel 2019, Honorary Visiting Fellow della Queen Mary University di Londra. È membro del Consiglio Consultivo Accademico dell’Università di Heidelberg dal 2020.
Il mio libro ha l’obiettivo di presentare e analizzare la personificazione degli Stati nei secoli che hanno preceduto la Rivoluzione francese. La figura della Marianne costituisce l’esempio più celebre di personificazione della Repubblica francese. In contrasto con questo esempio ben noto e studiato, poche sono le ricerche dedicate al periodo premoderno, su cui non esistono studi completi e comparativi. Tuttavia, la raffigurazione di Francia svolge un ruolo ovvio come precorritrice di Marianne, e la continuità è ancora più evidente nel caso di Britannia, effigiata sulle monete fin dal 1666 ai giorni nostri. La personificazione in testi e immagini rappresenta, per molte entità statali della prima età moderna, un elemento rivelatore della loro auto-rappresentazione e del loro sviluppo costituzionale. Ciò vale per Hollandia come per Polonia, Austria e Hispania, e anche per Germania con le sue figlie, come Bavaria, Borussia o Helvetia. La figura di Madre Svea e quella di Russia sono apparse nel momento in cui la corrispondente entità politica è stata accolta nella comunità degli Stati: così come oggi una bandiera e un inno nazionale sono indispensabili alla vita di un nuovo Stato, in passato la personificazione era il simbolo della sua sovranità.
In che modo tutto ciò ha a che fare con l’Italia e Roma? Pur non costituendo un’entità politica unitaria fino all’esito delle battaglie risorgimentali, in quanto entità culturale e geografica l’Italia ha avuto a lungo una sua diffusa personificazione. Era spesso rappresentata nell’atto di compiangere il suo destino, con riferimento all’inizio delle Lamentazioni bibliche: un tempo aveva governato il mondo, ed ora era ridotta al ruolo di pedina nelle mani di potenze straniere.

Spencer Collection, The New York Public Library. “Full page miniature and full border; Italy as a woman is torn at by beasts, but protected by the hand of the king of France” The New York Public Library Digital Collections. 1525 – 1550.
Sebbene l’Italia non fosse un’entità politica unitaria, nella penisola esistevano grandi potenze politiche che diedero vita a significative personificazioni delle relative comunità. Venetia, in particolare, costituì un modello molto influente, valido persino nell’Europa settentrionale e orientale. La si vede raffigurata nella sala più importante del Palazzo Ducale, sede dell’autorità della Repubblica, nell’atto di regnare su terre e su mari. Intorno al 1584, Jacopo Tintoretto, Palma il Giovane e Veronese la immortalarono nei dipinti del soffitto centrale della Sala del Maggior Consiglio.

Paolo Veronese, Public domain, da Wikimedia Commons
E che dire di Roma? A differenza di Venezia, la città non costituiva uno Stato. Era però la sede di un monarca universale, il papa, e dei suoi possedimenti secolari: lo Stato Pontificio. Anche il secondo monarca universale, l’imperatore del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, recava nel titolo un riferimento a Roma. L’espressione “Città Eterna” aveva un significato storico-salvifico: nell’interpretazione medievale del passo del profeta Daniele (2,37-41), l’Impero Romano era generalmente considerato l’ultimo impero prima del Giudizio Universale. Questo modello era radicato anche nell’antichità pagana: Roma era la città degli imperatori, ma in epoca repubblicana aveva già sottomesso gran parte del mondo allora conosciuto. Molto prima della nascita di Cristo, la res publica romana rappresentava sé stessa come una divinità trionfante, a cui una piccola raffigurazione della dea Victoria porge una corona d’alloro.

Ancient Roman art in the Bardo National Museum, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
L’immagine di Roma era a sua volta ripresa e ispirata da quella di Pallade Atena. Questa dea, corrispondente alla Minerva romana, viene raffigurata in trono con elmo e armi e ha rappresentato un modello estremamente influente per le singole personificazioni nazionali, in particolare per quella britannica. Tuttavia, Britannia combinava il modello romano di ascendenza greca con un’altra raffigurazione della Britannia antica, ripresa da William Camden intorno al 1600 (ill.). Questa figura si trovava sul rovescio delle monete con busti imperiali e non era raro che fosse raffigurata in posizione sottomessa, ai piedi del suo sovrano o nell’atto di rendergli omaggio. Britannia e altre province romane documentavano così la dipendenza dei territori, rappresentati in forma femminile, dal loro forte protettore maschile.

Classical Numismatic Group, Inc. http://www.cngcoins.com, CC BY-SA 2.5, via Wikimedia Commons
Tuttavia, non si evidenzia alcuna continuità nell’uso delle allegorie delle province tra l’antichità e il primo periodo moderno. Il ricorso all’iconografia delle monete antiche avvenne solo nel Rinascimento, che in questo contesto merita pienamente il suo nome. Una condizione indispensabile per attingere a quel patrimonio è costituita da un’altra, fondamentale idea proveniente dal periodo antico, ma stavolta dall’ambito cristiano. Nel testo attribuito a San Paolo della Lettera agli Efesini 5:21-32, l’autore proclama che Cristo in quanto capo e la Chiesa in quanto suo corpo sono destinati a diventare una cosa sola, proprio come l’uomo e la donna nel matrimonio. L’idea del matrimonio mistico ebbe un impatto molto forte nel Medioevo ecclesiastico e secolare. Al momento della sua elezione, un vescovo non si univa forse alla sua diocesi in un matrimonio indissolubile? Lo stesso non valeva per il papa e la chiesa universale? E a proposito dell’altro monarca universale: l’imperatore non era forse lo sposo della sua res publica, l’impero, come affermava il giurista Cino da Pistoia intorno al 1300? Per poi lamentare, in veste di poeta, che la “gente” era rimasta vedova alla morte dell’imperatore Enrico VII, avvenuta nel 1313.
Siamo quindi ai tempi dell’amico di Cino, Dante, ed esattamente nell’Italia centrale, dove la ghibellina Pisa, favorevole all’imperatore, giocò un ruolo importante nella diffusione di questa metafora matrimoniale. In che modo tutto questo riguarda anche Roma? La città continuò a rappresentare sia il modello dell’impero eterno, che quello della sua capitale: non è un caso che, come altri pretendenti medievali, Pisa si considerasse una seconda Roma. Le stesse costituzioni dei comuni dell’Italia centrale, con i loro consoli e senatori, si richiamavano al modello romano. Tuttavia, nel Medioevo apparve un nuovo attore politico, ovvero il sovrano della città: che poteva essere l’imperatore stesso, ma altrettanto spesso un vescovo e, nei comuni, un podestà laico eletto. Nella stessa Roma convivevano tutte e tre le varianti: l’imperatore come capo dell’impero (romano), il papa come capo della Chiesa (romana), e il podestà, come per esempio Brancaleone degli Andalò (1220-1258), che di fatto fu il primo a far immortalare la personificazione di Roma sul metallo delle monete (fig.).
In questo contesto, la res publica personificata compare in veste di accusatrice di coloro che la maltrattano o la abbandonano al suo destino. Dante immagina Ytalia misera che saluta il suo compagno Enrico VII, in procinto di attraversare le Alpi per sposarla. Poco tempo dopo, alla morte di Enrico, Dante cita il libro delle Lamentazioni: “Quomodo sola sedet civitas plena populo! facta est quasi vidua domina gentium”: la grande città di Roma è sprofondata come una vedova cieca, perché le mancano entrambi gli occhi. Con le sue parole, Dante si riferisce all’imperatore e al papa, ai quali Petrarca rivolge la medesima accusa, quella di aver abbandonato la loro sposa romana e di essersi stabiliti a nord delle Alpi: l’imperatore Carlo IV a Praga e i papi ad Avignone dal 1309 al 1377. In questo contesto Roma compare in diverse poesie, in Petrarca e nei suoi successori, tra cui Fazio degli Alberti.

Gennadii Saus i Segura, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Petrarca presenta la città come una vecchia matrona dai capelli aggrovigliati e ingrigiti, con un mantello strappato e il volto pallido, e ne elenca le glorie perdute: essa infatti è stata capo del mondo, regina delle città, sede dell’impero, rocca della fede cattolica, fonte di tutti le azioni degne di memoria (“Roma vero, mundi caput, urbium regina, sedes imperii, arx fidei catholice, fons omnium memorabilium exemplorum”). Roma invoca il suo sposo, Italia il suo salvatore. Ma l’imperatore teme il santo bacio della sua sposa e il bel volto di Italia – come se ci fosse qualcosa di più bello al mondo! Nel lamento di Petrarca, Roma come comunità politica e l’Italia come entità geografica tendono a identificarsi, aprendo così la strada alla personificazione politica della prima età moderna.