EVROS in situ – Studio Roma 2015
Studio Roma 2015
Introduzione
Studio Roma 2015
Maritsa (Марица, in Bulgaro) o Evros (Έβρος, in greco) o Meriç (in turco) è uno dei maggiori fiumi dei Balcani, attraversa in gran parte l’attuale Bulgaria e dopo circa 480 chilometri sfocia nel mar Egeo vicino alla città, oggi turca, di Enez. Nella sua parte bassa segna per alcuni chilometri il confine tra Bulgaria (riva nord) e Grecia (riva sud), e dopo avere attraversato la città di Edirne (Turchia) segna il confine tra Turchia (riva est) e Grecia (riva ovest).
Ci sono fiumi famosi per la grande Storia: Storia di civiltà, di battaglie, di città. Ogni fiume è depositario di un intreccio infinito di storie. Gli abitanti del fiume nel fiume riconoscono un mentore, un’enciclopedia, una bussola. I fiumi occupano un posto talmente speciale nelle letterature e negli immaginari di tutte le latitudini da risultare impossibile una qualche citazione senza restare imbrigliati in una parzialità troppo banale e inutilizzabile (dalle fiabe, ai miti, alle leggende fino a giungere al romanzo moderno).
L’Evros, nella sua parte finale, da quasi cento anni segna un confine. In questo dividere e dividersi, la sua storia e le sue storie si sono trasformate forse più di quanto sia possibile ormai immaginare.
Questo fiume e questo confine, per decenni hanno raccontato la storia di una separazione coatta, di espulsioni, deportazioni, persecuzioni, conseguenza di quell’idea per cui la realtà si dovrebbe adeguare a un segno tratteggiato su una mappa.
Quando la storia di un fiume di confine cessa di essere la temporalità che segue o risale contro corrente in direzione verticale? Come questa stessa storia diventa la narrazione del suo attraversamento, segnando una direzione orizzontale?
L’Evros-Meriç è tornato agli onori della cronaca da quando migliaia di donne e uomini in viaggio o in fuga (dall’Asia e dall’Africa) hanno iniziato ad attraversarlo per abbandonare i propri luoghi d’origine e raggiungere l’Europa. Seguendo la cronaca, la storia dell’Evros diventa storia giuridica, di muri da erigere o di valli da scavare, di sorveglianza e di controllo, di Unione Europea, polizia di frontiera, di morti, di centri di accoglienza temporanea, di avvocati, di attivisti, di denunce e di morti. Potremmo dire con Conrad, di moralizzazione e di giurisdizione.
La storia dei fiumi, a vedere bene, è sempre un racconto senza idillio.
Un luogo, e un luogo di confine in particolare, un viaggio, un attraversamento, una ricerca in situ impongono una presa di posizione, la definizione di un punto di vista che relega l’imparzialità a un ruolo necessariamente marginale, fanno irrompere quell’indefinibile valore dell’esperienza nella tanto agognata finzione della camera iperbarica dell’oggettività del sapere. In situ, retorica e prova sono legate inesorabilmente.
Allora interrogativi di partenza come «Cos’è un confine?», «Cosa succede in questo confine?», «Com’è possibile leggerlo e definirlo?», «Che storie e che Storia racconta questo fiume?» hanno la possibilità di trasformarsi in domande e ipotesi vive, incarnate, là dove i nuovi imperi di Oriente e di Occidente s’incontrano e si scontrano come le correnti di due mari.
L’Evros non è il Congo di Cuore di tenebra, eppure le ultime parole stralunate di Kurz pronunciate due volte e a voce bassa, quel “grido che non era che un soffio” lanciato verso non si sa “quale immagine, quale visione” ci accompagnano lungo tutto i fiumi dove il delirio d’onnipotenza del cosiddetto uomo occidentale non cessa di imporre o di difendere la propria cosiddetta civiltà: «Che Orrore! Che Orrore!».
Partecipazione su invito