TAFTAA – SIGNAL (SPIN AN EMPTY VESSEL, THIS IS FINE) (2025) è una nuova opera al neon commissionata a Chloé Delarue, realizzata per la facciata dell’Istituto Svizzero. L’opera fa parte di TAFAA (Toward A Fully Automated Appearance), un progetto di ricerca in corso che indaga come automazione, sistemi digitali e infrastrutture tecnologiche plasmino percezione, affettività ed embodiment.
Il disegno trae origine da un libro di emblemi rinascimentale – raccolte di motivi prodotte per la riproduzione e il riuso, nate nel momento in cui la stampa consentì la circolazione di immagini su larga scala. Riattivando questo simbolo, Delarue fa luce su un’inattesa genealogia della produzione di immagini contemporanea, collegando motivi del XVI secolo ai meme: forme brevi e mobili, il cui potere risiede non tanto nel significato quanto nella capacità di circolare, trasformarsi e essere continuamente riappropriate.
Da sempre associato al divino, alla rappresentazione del potere o alla promessa di rivelazione o estasi, qui il sole è distaccato da qualsiasi referente religioso, politico o cosmologico. Saturato da secoli di utilizzo in contesti divergenti, diventa paradossalmente svuotato di un significato stabile. Attraverso la ripetizione e la sovraesposizione, il simbolo si consuma e si rende nuovamente disponibile come forma che persiste non per ciò che significa, ma per la sua capacità di riapparire.
Questa condizione risuona con la realtà materiale del sole: una forma che appare continua e stabile, ma mai identica a sé stessa. Esiste solo attraverso un incessante flusso di fotoni, ciascuno unico e privo di durata, producendo l’illusione di permanenza attraverso una costante ricomposizione. Delarue si serve di questa tensione tra continuità apparente e instabilità sottostante per riflettere sui regimi dell’immagine contemporanea, in cui le forme sopravvivono come ripetizioni senza origine – generate, ricombinate e trasformate attraverso processi che non sono né attivi né pienamente autonomi.
Quando illuminata, TAFAA – SIGNAL (SPIN AN EMPTY VESSEL, THIS IS FINE) riattiva la carica affettiva di un archetipo, mostrando al contempo come la cultura visiva contemporanea – accelerata, saturata e in gran parte priva di memoria – continui a fare affidamento su matrici antiche. L’uso del neon intensifica questa logica: la luce non porta significato in sé, ma produce presenza senza narrazione. Apparendo continua, in realtà il neon è il risultato di una scarica instabile che si ricompone senza fine. Non illustra; emette. In questo passaggio da simbolo a segnale, il sole non afferma più autorità o credenze. Diventa una struttura aperta di apparizione – una forma vuota – attraverso la quale la continua circolazione, esaurimento e rinascita delle forme nel presente digitale diventa visibile.
